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STUDI – PNRR, effetti su crescita e occupazione.



Le ultime previsioni sulla crescita per l’area Euro pubblicate la scorsa settimana dalla Bce indicano una attenuazione della recessione nel 2020 a fronte di un maggior ritardo della ripresa: nel 2020 il PIL dell’area scende del 7,3% a fronte del -8% contenuto nelle previsioni di settembre della Banca, mentre nel 2021 è previsto salire del 3,9%, a fronte del +5% previsto a settembre; la ripresa si rafforzerebbe nel 2022 (+4,2% a fronte del 3,2% di settembre). Le misure di contenimento in risposta alla recrudescenza delle infezioni da coronavirus estendono gli effetti recessivi nel primo trimestre 2021 mentre le notizie sullo sviluppo di vaccini rendono più probabile una graduale risoluzione della crisi sanitaria.

Per l’Italia lo straordinario aumento del debito pubblico – 172,6 miliardi di euro in più nei primi nove mesi del 2020 – dovrà essere fronteggiato con una maggiore crescita, sostenuta dagli investimenti. Giovedì scorso la Bce ha prolungato a marzo 2022 il programma di acquisti di titoli pubblici, aumentandolo di 500 miliardi di euro. Nel corso della pandemia, tra febbraio e settembre 2020, la banca centrale ha sottoscritto l’88% dell’aumento del debito pubblico italiano in titoli. Dopo il 2022 dovrebbe disattivarsi la clausola di salvaguardia generale del Patto di stabilità e crescita e il rapporto debito/PIL dovrà instradarsi in un sentiero di discesa, possibile solo con un forte aumento del denominatore. Le previsioni del Mef indicano che lo shock sul debito pubblico determinato dalla crisi Covid-19 dovrebbe riassorbirsi completamente nel 2030.

Nella bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) si indicano interventi per 196 miliardi di euro, con il 40,8% delle risorse dedicate al contrasto del cambiamento climatico (transizione green, a fronte del 37% del target Ue) e il 23% alla transizione digitale (20% target Ue). Gli effetti dell’espansione fiscale del Piano nazionale di ripresa e resilienza sono stimati, nello scenario più favorevole, in una maggiore crescita di 1,3% medio annuo tra 2021 e 2026, mentre nello scenario in cui sono finanziati investimenti pubblici con una minore efficacia sulla dinamica del PIL potenziale, la maggiore crescita annua si ferma allo 0,8%. Il Piano preannuncia la “centralità degli investimenti pubblici”, ma i progetti non presentano un dettaglio sufficiente per valutarne il contributo su crescita e occupazione. Una eccessiva complessità di governance potrebbe influenzare negativamente costi e tempi degli interventi, depotenziando gli effetti del Piano sulla crescita.

Circa 27,2 miliardi di euro di risorse di Next Generation EU trovano allocazione nella manovra di bilancio per il triennio 2021-23, a copertura degli incentivi tributari agli investimenti delle imprese e delle misure per il Mezzogiorno per incentivi alle imprese, esonero contributivo del 30% e riduzione del gap infrastrutturale.

Nel PNRR, articolato in 6 missioni, 17 componenti e 54 progetti, l’area di intervento più rilevante riguarda l’efficienza energetica e riqualificazione degli edifici: l’importo di 40,1 miliardi di euro rappresenta il 20% degli interventi complessivi e più della metà (54%) degli interventi della componente della rivoluzione verde e transizione ecologica.

In relazione a questa componente del Piano va segnalato il caso del superbonus, relativamente al quale è necessario un ampio arco temporale affinché l’intervento manifesti a pieno i suoi effetti espansivi. Si tratta di un provvedimento anticiclico, introdotto a maggio dal DL ‘Rilancio’ per sostenere il settore delle Costruzioni, il quale nei primi nove mesi del 2020 ha registrato un calo di 14,8 miliardi di euro di valore della produzione (-11,7%) e in dieci anni ha perso mezzo milione di occupati (-498 mila tra terzo trimestre 2010 e terzo trimestre 2020). La normativa del superbonus, però, è risultata complessa e di difficile attuazione in tempi brevi. Servono tempi più lunghi per l’intervento, con una proroga almeno al 2023, per poter generare gli effetti espansivi sul valore aggiunto e l’occupazione. Sul fronte del lavoro va ricordato che il PNRR si pone un obiettivo ambizioso, quello di portare il tasso di occupazione italiano in linea con la media dell’UE entro la fine del decennio. Nel 2019 il tasso di occupazione in Italia (15-64 anni) è del 59%, di 9,4 punti inferiore al 68,4% della media Ue a 27: la chiusura di questo divario, a fronte di un calo previsto della popolazione del 3%, implica un aumento dell’occupazione del 10,9%, pari a due milioni e mezzo di occupati in più.

L’analisi dell’Ufficio Studi oggi su QE-Quotidiano Energia.

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